Neuropsicologia e malattie neurodegenerative
La neuropsicologia è una disciplina scientifica nata nella seconda metà dell’800 integrando conoscenze provenienti dalla neurologia e dalla psicologia. Ciò che in sostanza questo campo disciplinare studia – avvalendosi anche di contributi che derivano dall’impiego di tecniche quali il neuroimaging e l’elettrofisiologia – sono i deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali derivanti da disfunzioni del sistema nervoso centrale che possono far seguito ad una lesione cerebrale o ad una malattia neurodegenerativa che gradualmente coinvolge la funzionalità globale del soggetto. Partendo da un concetto di base secondo il quale i processi cognitivi sono correlati con il funzionamento di specifici sistemi cerebrali la disciplina neuropsicologica applica un metodo di correlazione anatomo-clinica ad un’ampia mole di disturbi neurologici per poterne comprendere il substrato cerebrale. Localizzare la sede di un deficit cognitivo risulta utile non solo allo scopo di diagnosticare un disturbo e programmare un intervento riabilitativo mirato (neuropsicologia clinica) ma anche per poter chiarire il funzionamento generale del cervello sia in condizioni di patologia che di normalità (neuropsicologia sperimentale).
In questo senso patologie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson non solo offrono la possibilità di osservare le manifestazioni cliniche conseguenti ad una progressiva compromissione delle principali funzioni del sistema nervoso centrale ma stimolano, inoltre, la continua ricerca nel campo delle tecniche riabilitative. Tuttavia è importante utilizzare con una certa cautela il termine “riabilitazione cognitiva” quando si ha a che fare con pazienti di questo tipo: non si può di certo negare la natura ingravescente di una condizione definita non a caso “neuro-degenerativa”, che inevitabilmente determina una perdita neuronale definitiva con effetti permanenti sulle capacità compromesse (cognitive, motorie, emotive). A fronte di questa realtà clinica si pone però la necessità di intervenire comunque sulle competenze del soggetto, se si considera l’evidenza che qualsiasi forma di trattamento compensativo o di supporto può favorire un certo grado di miglioramento della qualità della vita.
Quando ci si muove in ambito neuropsicologico si fa riferimento nello specifico a varie forme di stimolazione cognitiva che agiscono sui deficit mnestici, attentivi, visuo-spaziali o linguistici nelle loro possibili manifestazioni. In particolare i pazienti alzheimeriani, seppure con tempi e modalità di insorgenza relativamente variabili, presentano un quadro di demenza generalizzato che interessa molteplici domini cognitivi: deficit mnestici ingravescenti, che insorgono con un’amnesia anterograda (difficoltà ad acquisire nuove informazioni) per poi coinvolgere anche la capacità di ricordare eventi del passato più recente e elementi autobiografici e, anche se in fase più avanzata, la working memory; deficit visuo-spaziali che compromettono le capacità prassiche e la naturale abilità di riconoscere persone familiari e luoghi noti con una conseguente perdita di autonomia negli spostamenti quotidiani (disorientamento topografico); deficit attentivi e di programmazione delle azioni; disturbi verbali, tra i quali emerge l’anomia tipicamente riscontrata in questi pazienti con un conseguente rallentamento del discorso (fluenza verbale). I pazienti parkinsoniani manifestano un quadro sintomatologico differente, giustificato da un processo patogenetico di diversa natura: a dominare la scena sono senza dubbio i caratteristici disturbi motori ai quali si accompagnano alcune disfunzioni cognitive che possono o meno configurare un quadro di demenza.
Vista e considerata, dunque, la pervasività di patologie di questo tipo la possibilità di offrire un intervento “riabilitativo” efficace per le funzioni cognitive dovrebbe basarsi su alcuni presupposti fondamentali:
Costruire un programma di trattamento che, seppur realizzate in un contesto gruppale, sia fatto su misura per ciascun paziente la cui sintomatologia non dipende unicamente dalla malattia ma anche da caratteristiche personali (stadio della malattia, capacità di coping, motivazione, background familiare, storia di vita…).
Programmare un intervento che sia mirato principalmente a potenziare le abilità residue con fini compensativi e a fornire ausili e tecniche che possano supportare o sostituire le abilità ormai compromesse.
La psicologa,
Dott.ssa Agnese Lombardi