LA VISITA INASPETTATA …
Considerazioni sui disturbi d’ansia e gli attacchi di panico – Articolo sviluppato con la collaborazione dei soci LIDAP Campania
Vorrei davvero avere la macchina del tempo, ma per tornare molto indietro e trovare il bandolo della matassa, tirare quel filo e impedire che questa ombra oscura si avventi sul mio destino
Sono le parole di M., per la precisione quelle con cui termina una lettera in cui descrive la sua esperienza di vita fatta di continui incontri con un disturbo che, a pronunciarlo, sembra quasi banalizzarsi da solo, ansia, e di furtive quanto angosciose danze con un personaggio che lei stessa definisce “oscuro” e al quale, scherzando un po’ con le parole, potremmo dare quasi un nome e un cognome: Attacco Di Panico. Sì perché questo signore, subdolo e schiacciante, arriva quando meno te lo aspetti, sa colpire e non solo, la sua vera arte, quello in cui eccelle, è lasciare il segno portando chi lo conosce bene a soffrire di un vero e proprio paradosso, la “paura della paura”. M. non si dà pace, cerca il “bandolo della matassa”, l’unica chiave che possa condurre a soddisfare una serie di domande che il destino gode nel lasciare senza risposta: “Perché proprio a me? A me che mi sentivo così forte al punto da rincuorare e dare consigli agli altri quando stavano male? Dov’è che si è inceppato il meccanismo?”. Come se individuando il file corrotto da cui prende vita tutto, il problema possa, d’incanto, risolversi. Non che sia del tutto inutile, anzi, la nostra storia di vita è una costellazione di episodi, esperienze, eventi talvolta drammatici per non dire traumatizzanti, che, unitamente ad una predisposizione genetica, o per essere più chiari, temperamentale può, in effetti, determinare una nostra particolare vulnerabilità a sviluppare un determinato tipo di problema di natura psichica. Questo accade anche nel caso dell’ansia e del disturbo di panico.
Qual’è il meccanismo?!
Quasi mai ci si sofferma sul comprendere come funzioni il tutto e perché, ad un certo punto della nostra giornata, magari mentre stiamo guidando, mentre siamo comodi sul divano a guardare la tv oppure mentre aspettiamo un amico che venga a prenderci per andare a prendere una birra, arriva lui, l’Attacco Di Panico. Non bussa, arriva e basta, e fa sempre più male, senza sosta, fino al punto da farci pensare che la fine sia imminente oppure, se ci dovesse andar bene, che potremmo perdere definitivamente il controllo andando incontro alla pazzia. Dicevamo del meccanismo, si perché la chiave di tutto sta proprio lì. L’iter è molto lineare e la modalità con cui si succedono gli step che portano il problema ad innestarsi nella nostra vita segue un canovaccio che potremmo definire quasi scontato. Succede un fatto: un bel giorno, mentre stiamo mangiando un gelato su una panchina del nostro parco preferito, magari in un pomeriggio in cui abbiamo deciso di prendercela di festa perché uno strappo alla regola, di tanto in tanto, si può fare, iniziamo a sentire un lieve fastidio al petto. Una sensazione forse già sentita prima ma, chi sa, perché proprio ora? In effetti sta durando anche più delle altre volte e forse, anzi sicuramente, è anche più intensa. Il gelato inizia a squagliarsi, si perché ormai la nostra attenzione sta solo su quello, su quel segnale del nostro corpo che, inevitabilmente, sta passando ad un rango più alto, quello del sintomo; ma non un sintomo qualsiasi, è qualcosa di più, vuole dirmi qualcosa, forse, e dico forse, potrebbe essere un…no non lo voglio dire, è impossibile! Però continua, e lo sento sempre più forte quindi inizio ad avere paura ed anche se non lo dico e cerco di non pensarci, l’immagine inizia ad affiorare alla mia mente, forse si tratta di un infarto! C’è tutto: la tachicardia, sudo freddo, mi gira la testa, non vorrei sbagliarmi ma sento anche un po’ di formicolio; sta succedendo proprio a me, e non c’è nessuno, succederà qui e nessuno potrà aiutarmi. Devo fare qualcosa, devo chiedere aiuto, corro al pronto soccorso, è l’unica cosa che posso fare. Arrivo lì, sono stato fortunato, il tempo mi ha graziato; dopo una inaccettabile attesa il medico mi visita e, cosa?! “Si tratta di panico, prenda per qualche giorno questo ansiolitico e non si preoccupi, lei sta benissimo”. Il sollievo misto alla delusione, la paura un tutt’uno con l’incredulità. “Possibile che tutto quello che ho sentito, tutto quello che mi ha dolorosamente tenuto in balia del caos per quasi mezz’ora, altro non sia che una “pippa” della mia mente?”
Ma è davvero solo un inganno mentale?
Mi piacerebbe poter smentire la cosa, se non altro per riconoscere a chi ne soffre per lo meno il rispetto che merita chi lotta contro un mostro dalle sembianze poco definite, ma, in sostanza, si tratta solo e semplicemente di un “inganno della mente”. Quello descritto poc’anzi è il “tipico primo episodio di panico”, quello che lascia una traccia indelebile nel nostro cervello, che crea l’errore nel sistema, il maledettissimo triangolino giallo in cui puntualmente ognuno di noi si imbatte quando il pc decide di darci del filo da torcere. Da quel momento in poi, la paura successiva non sarà più quella dell’infarto, bensì quella di rivivere nuovamente gli attimi tragici che ci hanno tenuti in scacco la prima volta; la paura sarà, quindi, quella di avere nuovamente l’attacco di panico, con la consapevolezza di non avere armi per contrattaccare e di dover subire, passivamente, tutto quello che succederà e per tutto il tempo che il perfido personaggio di cui sopra riterrà più opportuno. Ansia e panico vanno visti su un continuum, ed è importante capirne le dinamiche per muovere il primo passo verso il cambiamento. Talvolta si ha l’aspettativa che l’ansia possa essere debellata mentre, mi duole dirvelo, dovremmo accettare l’idea che l’ansia è un costrutto che, per quanto complesso, un po’ ci serve e sebbene non sia propriamente una “emozione”, come molti erroneamente la considerano, è funzionale in molte cose che facciamo: ad esempio migliora le nostre prestazioni in svariati tipi di performance. Lo stress, che con l’ansia va a braccetto, ha un ruolo fondamentale nell’innalzare il livello di quest’ultima fino al punto da sfondare la soglia massima oltre la quale compare lui, il signor Attacco Di Panico e che, come abbiamo visto, non molla la presa e si diverte a strapazzare chi ha la malaugurata sventura di finire nelle sue grinfie.
Il vero “bandolo della matassa”
Cosa, dunque, determina l’innesco? Cosa ho sbagliato quella mattina al parco mentre stavo gustando il mio gelato sulla panchina nel mio parco preferito? L’interpretazione erronea di un innocuo e banale “segnale” del mio corpo; qui c’è la chiave. E’ questione di un attimo, sfumature quantificabili in millesimi di secondo; un concentrato di eccessiva attenzione al segnale, un pensiero che lo filtra in maniera sbagliata e da lì all’inizio delle danze il passo è breve. Come un circolo vizioso si susseguono pensieri sempre più errati su quello che sta succedendo, sensazioni fisiche che a causa dell’attenzione sempre più focalizzata sul corpo diventano più intense (nella percezione, attenzione, non nella gravità!) e, a queste, se ne aggiungono altre; paradossalmente tutte quelle che ci aspettiamo possano arrivare (il duo mente/cervello in questi casi può essere davvero spietato nel prenderci in giro!) e il gioco è fatto. Le risposte del corpo diventano, quindi, la conferma a ciò che avevamo pensato: sto per avere un infarto (nel primo caso), sto per avere un attacco di panico (nel secondo e per tutti i successivi). Per quanto sembri un gigante non è difficile venirne fuori ma, come dico sempre, una buona psicoeducazione iniziale, prima di intraprendere una vera e propria terapia, è il primo e più importante passo verso la guarigione. La consapevolezza che nasce dal comprendere cosa, realmente, ci sta succedendo è l’asso nella manica che ci servirà magari a non portare a casa subito tutte le fiches ma, sicuramente, a farci restare seduti a quel tavolo per studiare le mosse migliori per arrivare a battere il banco.
Dott. Guglielmo D’Allocco, psicologo psicoterapeuta presidente cooperativa TAM
Consulente Lidap