Esami diagnostici per la demenza: le tecniche del neuroimaging
Nella valutazione di una sospetta demenza, uno dei passi successivi alla visita clinica è rappresentato dagli esami diagnostici e, nello specifico, dalle indagini di diagnostica per immagini. Il neuroimaging permette non solo di individuare alterazioni più o meno caratteristiche, ma permettono anche di verificare l’assenza di patologie differenti, queste ultime possono mimare la sintomatologia della demenza. Gli ultimi decenni hanno visto un rapido sviluppo di tecniche sempre più moderne.
È compito del neurologo impegnato nel processo diagnostico decidere quali e quanti esami radiologici eseguire, in base al sospetto, alla clinica e alle caratteristiche del singolo paziente (età, patologie associate, disposizione a collaborare della persona).
Imaging strutturale
Rientrano in questa categoria la TC (Tomografia Computerizzata) e la RMN (Risonanza Magnetica). Sebbene la TC sia stata la prima a consentire l’esame diretto non invasivo dell’encefalo, attualmente la RMN è la tecnica migliore per studiare il sistema nervoso centrale. A differenza dalla TC, la RMN non utilizza radiazioni ionizzanti, dannose per il nostro organismo. Piuttosto, essa sfrutta dei potenti campi magnetici, che non sembrano danneggiare i tessuti, tanto da rendere questo esame utilizzabile anche nelle donne in gravidanza. La RMN permette così di ottenere immagini del corpo umano (nel nostro caso del sistema nervoso centrale) ad alta risoluzione.
Vediamole da vicino
Le controindicazioni assolute all’esecuzione della RMN sono:
- stimolatori elettrici (pacemaker, defibrillatori cardiaci, etc.).
- dispositivi ad attivazione magnetica o elettrica (elettrodi cerebrali subdurali, neurostimolatori, pompe per infusione di farmaci).
- protesi ferromagnetiche endocraniche (che potrebbero spostarsi durante l’esame).
- clip ferromagnetiche vascolari.
Inoltre, la risonanza magnetica può non essere praticabile in pazienti claustrofobici, che non tollerano la permanenza prolungata in uno spazio ristretto come è quello del macchinario della RMN.
In tutti questi casi, la TC può essere utilizzata come “surrogato”. La TC è un esame rapido, ma che offre immagini di qualità inferiore ed utilizza radiazioni ionizzanti.
Come detto, la principale finalità di questi esami diagnostici è escludere condizioni diverse dalla demenza di origine degenerativa. Esse inoltre offrono l’opportunità di individuare aree di atrofia (riduzione del tessuto cerebrale) in specifiche zone del cervello (tra cui, per esempio, l’ippocampo) che orientano verso una specifica causa di demenza.
Imaging funzionale
Le tecniche di imaging funzionale permettono di studiare l’attività metabolica cerebrale. Ovvero il consumo di nutrienti (come glucosio e ossigeno) da parte delle cellule. In questo modo consentono di identificare precocemente aree a metabolismo ridotto associate alla neurodegenerazione. Rientrano in questa categoria tecniche di medicina nucleare quali PET (Tomografia a emissione di positroni) e SPECT (Tomografia ad emissione di fotone singolo).
La PET utilizza radiofarmaci (principalmente il fluorodesossiglucosio-18) captati dalle cellule e utilizzati come fonte di energia. Le aree atrofiche risultano essere meno captanti, dal momento che al loro interno la quantità di cellule metabolicamente attive si è ridotto. La SPECT, invece, studia il flusso ematico cerebrale. Questo perché le aree metabolicamente meno attive presenteranno un flusso emetico minore.
Imaging molecolare
Nell’ultimo decennio è stata messa a punto la PET-amiloide, che permette di individuare, in vivo, la presenza di aggregati di amiloide nell’encefalo. Il suo utilizzo in ambito di ricerca ha evidenziato un’alta capacità di differenziare i soggetti affetti da Alzheimer dai controlli sani, anche nella fase preclinica della patologia, quando cioè la persona non ha sintomi di demenza.
Attualmente l’utilizzo della PET-amiloide è ristretto ai clinici specializzati nella demenza e a quei pazienti con un’insorgenza precoce o atipica di Alzheimer o per i quali le indagini svolte non hanno portato a una diagnosi definitiva.
Dott.ssa Giulia D’Alvano (Dottoressa in Medicina e Chirurgia)
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