sabato, Novembre 23, 2024
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Il ruolo della genetica nell’autismo

Sebbene la ricerca abbia evidenziato l’importanza dei fattori genetici nell’autismo, non è ancora chiaro che cosa venga ereditato, in questo disturbo. Gli studiosi stanno lavorando molto per individuare i geni potenzialmente responsabili. In attesa di conoscere i risultati delle ricerche in corso, facciamo il punto su alcuni aspetti che appaiono consolidati, allo stato attuale delle conoscenze, rispondendo alle domande che vengono poste dai genitori.

A scientist holding a molecule model

Non è ancora del tutto chiaro che cosa venga ereditato, nell’autismo. È possibile che si erediti una predisposizione generale ad alcune difficoltà più che l’autismo in sé e per sé. Sebbene la ricerca abbia evidenziato con sempre maggiore chiarezza l’importanza dei fattori genetici, in questo disturbo, non abbiamo ancora risposte definitive. La genetica dell’autismo non è trasparente né facile e sembra probabile siano coinvolti più geni, con stime che vanno da un numero di 4 a 20 o più. In questi anni, si sta studiando molto per individuare i geni potenzialmente responsabili di questo disturbo (i cosiddetti “geni candidati”) e appare probabile che, in un futuro ormai prossimo, qualche causa genetica verrà identificata.

Nel frattempo, con l’aiuto degli studiosi Fred Volkmar e Lisa Wiesner, facciamo il punto sullo stato attuale delle conoscenze sull’argomento rispondendo ad alcune domande che vengono poste frequentemente dai genitori.

Ho un bambino che ha l’autismo e sto pensando di avere il secondo figlio. Quali sono le probabilità che anche il secondo bambino abbia l’autismo?
In linea di massima, il fatto di avere avuto un figlio con autismo aumenta il rischio di averne un altro probabilmente di circa il 2-10%. Questo può non sembrare un rischio particolarmente elevato fintanto che non si considera che, nella popolazione generale, circa un bambino su 800-1000 ha l’autismo: ciò significa che le probabilità aumentano significativamente. Abbiamo incontrato famiglie con tre o quattro figli con autismo. Tenga presente che possiamo rispondere a questa domanda soltanto in termini generali: per una risposta più specifica è necessario parlare con un genetista, che può prendere in esame tutti i fattori specifici della situazione, tra cui la storia familiare.

Per fare diagnosi di autismo è sempre necessaria una risonanza magnetica al cervello o un elettroencefalogramma?
In genere, in mancanza di un preciso motivo clinico per fare questi esami, la probabilità di trovare qualcosa è bassa. Se ci sono specifiche ragioni cliniche per eseguirli, per esempio se si sospettano disturbi epilettici o se l’anamnesi e il comportamento del bambino sono particolarmente insoliti, allora andrebbero fatti.

Esistono test di laboratorio che permettono di diagnosticare l’autismo?
Al momento la risposta è no. In futuro, quando i geni responsabili dell’autismo verranno individuati, potranno esserci esami di questo tipo. Attualmente, tuttavia, l’unico specifico test di laboratorio che ha senso effettuare è quello per l’X fragile (un esame del sangue). Oggi esistono particolari test genetici capaci di ricercare i geni mancanti. Data l’anamnesi e i risultati del bambino agli altri esami, possono essere necessari ulteriori test.

Cosa succederà quando verranno identificati dei geni responsabili dell’autismo?
Dovranno succedere parecchie cose prima che i risultati possano essere tradotti in nuovi trattamenti. Per esempio, occorrerà capire come il gene funziona e come interviene nello sviluppo e nel cervello, poi bisognerà sviluppare un modello animale, operazione molto importante perché aiuta a comprendere che cosa succede nel cervello e ci dà maggiori possibilità di valutare i possibili trattamenti. Ci potrebbero essere, nel breve tempo, implicazioni importanti per lo screening. Ci potrebbe anche essere qualche possibilità di comprendere il più ampio spettro dell’autismo e delle condizioni correlate. Non bisogna dimenticare però che questo è un ambito di ricerca molto attivo e che nei prossimi anni la risposta a questa domanda potrebbe cambiare radicalmente.


Tratto da “L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta” – Erickson