TAM REVIEW: attraverso il libro “La peste” di A. Camus riflettiamo sulla pandemia da Covid-19
Il tema del mese scelto per TAM TAM psicoterapia sociale è L’impatto emotivo dell’isolamento sociale al tempo del COVID-19. Per il primo appuntamento con TAM Review, il romanzo scelto per riflettere insieme sugli effetti psicologici del distanziamento sociale imposto dalle regole anti covid-19 è La Peste di Albert Camus in cui la pandemia vissuta dalla cittadina di Orano ci offre l’occasione di osservare i vari personaggi e il loro modo di affrontare questa particolare condizione, molto simile a quella che viviamo oggi giorno a causa del covid-19.
La trama
Ad Orano, un’anonima città della costa Algerina, ancora sotto il dominio francese la vita scorre lenta e tranquilla. L’ordinarietà della città viene scossa da un evento degno di nota, forse l’unico accaduto nella stessa: i topi cominciano a morire ripetutamente per le strade della città. Mentre i cittadini accusano le autorità e la stampa dopo un interesse primario non si interessa più della questione. Molti uomini si ammalano di febbre inguinale.
Il protagonista e narratore, dr. Rieux per primo si convince che si tratta di peste. L’epidemia dilaga e la cittadinanza è in preda al panico. Arriva da Parigi l’ordine di chiudere la città e di cominciare un isolamento per evitare la diffusione in territorio nazionale. La vita ad Orano diventa sempre più difficile e i cittadini si confrontano con la stessa nella maniera più diversa.
La quarantena forzata obbliga infatti le persone a cercare una soluzione per andare avanti: c’è chi crede che la peste sia una punizione divina, c’è chi lucra sulla mancanza di viveri, chi si lascia cullare dall’oblio garantito dall’alcol e dal cibo, e chi invece cerca in tutti i modi di raggiungere la Francia o fuggire dalle mura. C’è chi però decide di restare e combattere l’epidemia, organizzandosi in gruppi di volontari per smaltire i corpi o aiutare la popolazione. Gli abitanti di Orano continuano a morire, tanto da non esserci più posto neanche nelle fosse comuni. Ma la scienza riesce a produrre un siero che sarà capace di curare le persone affette dalla malattia.
L’epidemia comincia a scemare a poco a poco, non prima di averne decimato la popolazione. Dopo un anno dall’inizio del racconto, finalmente viene sciolta la quarantena che consentirà ai cittadini di riversarsi in strada a festeggiare il ritorno alla soporifera normalità della cittadina.
Riflessioni
Accolto con entusiasmo dalla critica e considerata una delle migliori opere di A. Camus, La Peste è un romanzo che si presta a numerosi interpretazioni. L’obiettivo dell’autore premio Nobel è quello di costruire un romanzo metaforico: esso viene pubblicato nel 1947 e attraversa nella sua stesura la seconda guerra mondiale ed il termine di essa. Per Camus, la peste è allegoria di guerra, una malattia di tutte le comunità umane: imprevedibile ed inevitabile, parrebbe.
Al termine del testo, Rioux, colui che si prodiga per il bene e per “curare” la comunità sopravvive all’epidemia, quasi a ricordare che è esattamente il curarsi dell’altro che preserva la salute dell’individuo.
Sebbene il tentativo di Camus sia di rendere metaforico il linguaggio della guerra, il parallelismo con la peste è immediato e degno di attenzione, e può rapportarsi anche alla pandemia che noi stiamo vivendo col covid-19.
I tipi umani messi in scena
Ciò che interessa principalmente è la leggerezza con cui l’autore mette in scena i tipi umani che si trovano ad affrontare la malattia. Camus ci presenta alcuni che si impegnano a combattere la malattia; altri che si chiudono in casa o cercano di scappare; chi approfitta per arricchirsi; chi invece si convince di una divina punizione; o ancora coloro che si sentono a poco a poco sempre più coinvolti e consapevoli. Possiamo immaginarne i tratti: l’angoscia di morte che attraversa la città durante la peste è qualcosa che riconosciamo in quello che viviamo a causa della pandemia da covid-19.
È l’uomo dunque che nei suoi tratti caratteriali si difende come può da tale angoscia. Osservando ciò che accade oggi, anche tra i nostri affetti più cari, possiamo rivedere alcune di queste reazioni, e probabilmente osservando da vicino ne possiamo trovare altrettante di nuove.
C’è chi nega l’esistenza del Virus, chi si affida alla religione. C’è chi è scrupoloso alle norme sanitarie, chi invece si adopera per la comunità nel tentativo di sentirsi utile alla stessa. Ci sono persone che sminuiscono la violenza di questo virus, nel tentativo di esorcizzarne la paura. C’è purtroppo chi ne approfitta, e chi invece tenta la fuga. Il cedevole cordone sanitario contiene la paura e diventa involucro rigido, quasi una gabbia, per la comunità di Orona.
E sembra cedere sotto i colpi inflessibili della malattia che avanza. Ancora la similitudine con il nostro sistema sanitario sembra immediata: gli ospedali, da sempre garanti della salute pubblica, diventano lazzaretti nella corsa al posto letto, e gli amministratori per incompetenza o volontà non riescono a garantirne l’efficienza. Nella scienza si ripone la speranza, come la speranza che i vaccini riescano a chiudere l’emergenza in atto.
La speranza
Le conseguenze dell’isolamento, ma soprattutto della morte che quotidianamente è presente nel nostro tempo e nel tempo traslato di Orano si iscrivono nella mente delle persone e ne guidano agiti e speranze. La crisi è economica, ma anche e soprattutto sociale ed è proprio nella socialità che per Camus si evidenzia una speranza. La morte cambia e lascia il segno ed è la vita che si oppone ad essa: una vita che viviamo in maniera quasi sospesa. Bisogna fare attenzione a godere di ogni momento, poiché si rischia la conseguenza di non riuscirci più passata la tempesta.
La salute psicologica
Anche quando l’epidemia ad Orano termina, e anche quando la pandemia da Covid terminerà, si ritroveranno familiari ed amici in maniera nuova, e lo strascico della distanza sociale potrà influire sulle relazioni. Il rischio da evitare è quello di lontananza dall’altro. “Il microbo della peste non muore mai, scrive Camus, “e può restare dormiente per decenni ma non scompare”.
Prendere a prestito tali parole significa dire che sebbene le conseguenze stressanti e traumatiche di questa pandemia da covid-19 possano sembrare sopite, non bisogna dimenticarsene. La salute psicologica passa anche da questo e bisogna farne attenzione. In ultima analisi, la lontananza delle presone care, di coppie separate da vincoli burocratici, di cari che soli affrontano la malattia in ospedale, di medici ed infermieri che si isolano preventivamente necessita di una risposta emotiva netta.
La lontananza fisica, per quanto dolorosa, può essere limitata dalla vicinanza d’amore e d’affetto, mediata dalla tecnologia che in minima parte ci aiuta. La relazione con l’altro e con sé stessi è in massima sintesi ciò che può preservare il nostro benessere ed aiutarci a superare le difficoltà, qualunque esse siano, che la Peste porta con sé.
In uno dei passi finali del romanzo, quando le coppie separate dalla quarantena si ritrovano, Camus scrive: “Queste coppie estatiche, strettamente unite ed avare di parole, affermavano in mezzo al tumulto, col trionfo e l’ingiustizia della felicità, che la peste era finita e che il terrore aveva fatto il suo tempo”.
Ritrovare la felicità grazie all’incontro con l’altro, dopo averlo tanto desiderato, è il modo che Camus ci suggerisce per combattere la “morte”, in qualsiasi forma essa si presenti. Una metafora attuale che oggi possiamo tradurre attraverso il parallelismo tra peste e pandemia da Covid-19, traendone un valido insegnamento.
Dott. Agostino Borroso, psicologo
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